PREMIO LETTERARIO PANCHINA

POESIA - RACCONTI - TESTI PER CANZONI

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EDIZIONE 2011
- RACCONTI

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Rallenta e passa
(racconto per ambulanza ed equipaggio)
Massimiliano Govoni


Fisiologica, siringhe, ago-cannule, guanti... Sono le 19.59, però Susy non è ancora arrivata. Prima del turno bisogna fare il check di tutta l'attrezzatura, ma lei arriva sempre con cinque minuti di ritardo. «Tanto so che ci pensate voi», risponde col sorriso smagliante ogni volta che le si fa notare che questa cosa non va bene, no. Persino l'autista deve controllare che il mezzo vada in moto e ci sia benzina a sufficienza.
«Che ordino per te, Matteo?» Il servizio inizia alle 20 e termina alle 24 e molti volontari, per guadagnare tempo, cenano qui e di solito ordinano una pizza, sperando che la radio di servizio li lasci in pace per un po'.
«Il solito, Nero. E ricordati...»
«Va a cagare». Il solito corrisponde a una mozzarella di bufala con pancetta cotta nel forno. Il fatto che io non scelga una pizza fra le quaranta del menù è una cosa che il Nero lo fa impazzire: «Grazie, caro».
«Vaffanculo», risponde secco. Il Nero è così, gli amici li insulta, con gli altri non ci parla nemmeno. Smonto dall’ambulanza e vado in saletta. Il telefono squilla. E' Susy, dice che arriverà tra pochi minuti e chiede di far aggiungere una salsiccia e cipolla. Giusto per essere accogliente verso gli eventuali ospiti del nostro mezzo.
Ma quando appoggio la cornetta accadono due cose: alla radio suona la selettiva per “Bologna 24” e dalla porta entra il ragazzo con le due pizze. Il Nero allora manda un accidente alla persona che dovremo soccorrere e io premo il pulsante per parlare:
«Avanti per Bologna 24».
«Bologna 24, codice rosso base, charlie1, in strada di fronte a via del mercante 5 c'è una persona a terra».
Immediatamente mando a quel paese Susy che ancora non si vede. Il Nero studia sulla cartina il percorso, mentre io afferro il cellulare e non appena si attiva la comunicazione abbaio: «Dove sei?»
«Perché tesoro, ci hanno chiamati? Sì, dal tono della tua voce deduco che ci hanno chiamati. Sono in strada, dimmi dove andate che vi raggiungo lì». Chiudo la comunicazione e guardo il Nero allargando le braccia. Il ragazzo con i cartoni in mano dice: «Ehi, va bene che siete in emergenza, ma le pizze le dovete pagare».
Dal momento della chiamata abbiamo tre minuti per partire e dalla partenza abbiamo venti minuti per arrivare sul posto. In tutto ventitré minuti per arrivare in qualsiasi luogo coperto dalla nostra postazione, ma il Nero è una vera furia. Quando non può mangiare la sua pizza calda diventa irritabile. Dopo alcuni semafori rossi rallenta e passa, arriviamo sul posto e troviamo Susy appoggiata a una colonna che fuma una sigaretta in tutta tranquillità. Il Nero spegne la sirena e lasciamo l'ambulanza in mezzo alla strada:
«E allora?» le chiedo un po' perplesso dal suo atteggiamento. Lei espira il fumo e attacca:
«Quando sono arrivata c'era un tizio lì sotto al portico - dice indicando un punto dove c'è una macchia di sangue - un extracomunitario con un occhio nero e un taglio sulla fronte...».
«E quindi?»
«Sarà stato rapinato da un altro marocchino», sentenzia il nostro autista.
«Non dire stronzate razziste, Nero. Mi sono avvicinata e gli ho dato un’occhiata. Non aveva niente di rotto... Gli ho detto che stava arrivando l'ambulanza e che lo avremmo portato in ospedale per fare un controllo... lui ha dato di matto».
«E adesso dov'è? » chiedo per cercare di capirci qualcosa.
«Andato. Si è alzato barcollando, mi ha detto che stava bene, poi è andato».
«Quindi dopo tutto stava bene? » chiedo ingenuamente. Susy mi guarda come se fossi un bambino che non ha capito la lezione.
«E' la solita storia, Matteo. I clandestini in ospedale ci vanno solo se sono disperati, incoscienti o morti. C'è il rischio di essere segnalati». Nei suoi occhi c'è un'accusa verso l'umanità intera, ma ormai lo conosco bene il nostro capo soccorritore e sto attento a non ribattere alcunché.
Il Nero è scocciato e si gira per tornare sull'ambulanza. Io sospiro e prendo la radio: «Centrale da Bologna 24, in strada non abbiamo trovato nessuno».



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