Rallenta e passa
(racconto per ambulanza ed equipaggio)
Massimiliano Govoni
Fisiologica, siringhe, ago-cannule, guanti... Sono le 19.59, però
Susy non è ancora arrivata. Prima del turno bisogna fare il check
di tutta l'attrezzatura, ma lei arriva sempre con cinque minuti di ritardo.
«Tanto so che ci pensate voi», risponde col sorriso smagliante
ogni volta che le si fa notare che questa cosa non va bene, no. Persino
l'autista deve controllare che il mezzo vada in moto e ci sia benzina
a sufficienza.
«Che ordino per te, Matteo?» Il servizio inizia alle 20
e termina alle 24 e molti volontari, per guadagnare tempo, cenano qui
e di solito ordinano una pizza, sperando che la radio di servizio li
lasci in pace per un po'.
«Il solito, Nero. E ricordati...»
«Va a cagare». Il solito corrisponde a una mozzarella di
bufala con pancetta cotta nel forno. Il fatto che io non scelga una
pizza fra le quaranta del menù è una cosa che il Nero
lo fa impazzire: «Grazie, caro».
«Vaffanculo», risponde secco. Il Nero è così,
gli amici li insulta, con gli altri non ci parla nemmeno. Smonto dall’ambulanza
e vado in saletta. Il telefono squilla. E' Susy, dice che arriverà
tra pochi minuti e chiede di far aggiungere una salsiccia e cipolla.
Giusto per essere accogliente verso gli eventuali ospiti del nostro
mezzo.
Ma quando appoggio la cornetta accadono due cose: alla radio suona la
selettiva per “Bologna 24” e dalla porta entra il ragazzo
con le due pizze. Il Nero allora manda un accidente alla persona che
dovremo soccorrere e io premo il pulsante per parlare:
«Avanti per Bologna 24».
«Bologna 24, codice rosso base, charlie1, in strada di fronte
a via del mercante 5 c'è una persona a terra».
Immediatamente mando a quel paese Susy che ancora non si vede. Il Nero
studia sulla cartina il percorso, mentre io afferro il cellulare e non
appena si attiva la comunicazione abbaio: «Dove sei?»
«Perché tesoro, ci hanno chiamati? Sì, dal tono
della tua voce deduco che ci hanno chiamati. Sono in strada, dimmi dove
andate che vi raggiungo lì». Chiudo la comunicazione e
guardo il Nero allargando le braccia. Il ragazzo con i cartoni in mano
dice: «Ehi, va bene che siete in emergenza, ma le pizze le dovete
pagare».
Dal momento della chiamata abbiamo tre minuti per partire e dalla partenza
abbiamo venti minuti per arrivare sul posto. In tutto ventitré
minuti per arrivare in qualsiasi luogo coperto dalla nostra postazione,
ma il Nero è una vera furia. Quando non può mangiare la
sua pizza calda diventa irritabile. Dopo alcuni semafori rossi rallenta
e passa, arriviamo sul posto e troviamo Susy appoggiata a una colonna
che fuma una sigaretta in tutta tranquillità. Il Nero spegne
la sirena e lasciamo l'ambulanza in mezzo alla strada:
«E allora?» le chiedo un po' perplesso dal suo atteggiamento.
Lei espira il fumo e attacca:
«Quando sono arrivata c'era un tizio lì sotto al portico
- dice indicando un punto dove c'è una macchia di sangue - un
extracomunitario con un occhio nero e un taglio sulla fronte...».
«E quindi?»
«Sarà stato rapinato da un altro marocchino», sentenzia
il nostro autista.
«Non dire stronzate razziste, Nero. Mi sono avvicinata e gli ho
dato un’occhiata. Non aveva niente di rotto... Gli ho detto che
stava arrivando l'ambulanza e che lo avremmo portato in ospedale per
fare un controllo... lui ha dato di matto».
«E adesso dov'è? » chiedo per cercare di capirci
qualcosa.
«Andato. Si è alzato barcollando, mi ha detto che stava
bene, poi è andato».
«Quindi dopo tutto stava bene? » chiedo ingenuamente. Susy
mi guarda come se fossi un bambino che non ha capito la lezione.
«E' la solita storia, Matteo. I clandestini in ospedale ci vanno
solo se sono disperati, incoscienti o morti. C'è il rischio di
essere segnalati». Nei suoi occhi c'è un'accusa verso l'umanità
intera, ma ormai lo conosco bene il nostro capo soccorritore e sto attento
a non ribattere alcunché.
Il Nero è scocciato e si gira per tornare sull'ambulanza. Io
sospiro e prendo la radio: «Centrale da Bologna 24, in strada
non abbiamo trovato nessuno».