Ai Lati
Michela Guidi
Un bel dì il nostro stivale
si svegliò col piede storto
e sentiva tanto male
che si vide presto morto.
«Ormai ho i giorni contati!»
lamentò con fifa vera
«più che Italia sono Ai-lati»
e sparì in una scarpiera.
«Sono desta o destinata?»
chiese a un alto tacco a spillo,
eruttando contrariata
«non tacere, avanti, dillo!».
«Hai i vulcani un po’ infiammati,
certamente non lo nego.
Ma si può risolver tutto,
se non chiedi, ovvio, un impiego».
«Son depressa e malandata,
caro tacco, non si vede?
Ma son spire o son spiragli
che mi soffocano il piede?».
«Sono solo grossi tagli
e cicatrici a non finire,
ma col ghiaccio delle Alpi
non dovresti più soffrire.
E sei poi ti cola il Po
e ti dolgon gli Appennini
pensa agli anni che hai sul dorso,
che non son proprio pochini».
Di repente uno scossone
smosse tutto con dolori
«sono persa o son persona?»
pensò Italia. Poi fu fuori.
Una mano inferocita
l’afferrò sul Tagliamento
e fissandola nei laghi disse:
«Ascoltami un momento!
Io con mille ho combattuto,
con condotta battagliera,
tu per lieve male al callo
fili dentro a una scarpiera?».
«Mi perdoni, Garibaldi,
ma ormai ho 150 anni,
se continuo a camminare
potrei fare molti danni».
«Questo è poco, ma sicuro,
ma sei scarpa di valore.
Ora corri, cara mia,
fai l’Italia o qui si muore!».