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To
steki
di Gabriella
Stefani
Noi quattro, a cena
dal Greco nel quartiere universitario. Ci vediamo quando è possibile,
quando le circostanze lo concedono.
Oddìo, per la verità le circostanze stavolta non sono
tanto favorevoli, la mamma di Costanza è ricoverata al S.Orsola
così lei ha lasciato il suo incantevole eden di Fiesole per qualche
giorno. Leonarda, la sua amica storica, siede di fronte a me.
Siamo un bel tavolo menopausa, un po diverso dai soliti, non troppo
truccate né ingioiellate, fatta salva la vistosa collana d'ordinanza
della categoria, Attilia è ancora in attività, ma per
spirito di corpo la includo nel consesso.
Si, siamo belle, non c'è dubbio, ben condite, allegre e peperine.
Ognuna di noi ha la sua storia a tracolla, ma non la ostenta, non ne
fa una bandiera, le nostre serate sono una trina di delicata tolleranza,
di miti suggerimenti, caute domande ed educate risposte. A volte si
ride a volte ci si commuove, niente di straordinario, piccole cene fra
amiche, non si fanno graduatorie, non c'è una classifica di sfighe.
Quando ci sono, le sfighe, aleggiano leggere, come un tulle sottilissimo
che passa fra uno sguardo e l'altro.
Facile.
Facile?
Si parla di Iolanda, che dopo vent'anni di fidanzamento è stata
messa in aspettativa dal Promesso senza tanti complimenti. Il silenzio
totale è piombato fra di loro come un colpo di mannaia, lui tace
con tanto accanimento che è come se urlasse. Un proclama in piena
regola.
Iolanda, vicina alla sessantina, si ritrova sola con figlio a carico,
sul ciglio della aborrita vecchiaia combattuta strenuamente a colpi
di filler.
L'abbandono corrisponde al crollo delle certezze, alla demolizione delle
speranze, la catastrofe sentimentale. Schiaffeggiata dalla realtà,
non c'è da stupirsi, mi pare, se Iolanda si attacca all'ormai
ex-fidanzato, ora minacciando, ora digitando sul senso di colpa, ora
fraternizzando col nemico. Ma i risultati, ahimè, sono molto,
molto modesti.
Una storia ordinaria insomma...
Il commento di Leonarda è sì clemente, ma pure severo,
un po come è lei, generosa ma retta, afflitta da un insopprimibile
senso del dovere. Non riesce a condannarla, ovvio, le vuol bene, ma
“insomma, io saprei stare sola, piuttosto che con un uomo che
non mi apprezza.”
Mente, in buonafede, ma mente. Il dolore della separazione dal suo uomo
la ucciderebbe. Ma lei non lo sa. Lo so io.
Costanza è ardimentosa, pronta alla pugna, intrepida: “Ma
certo che potrei stare sola! Sarebbe di gran lunga preferibile ad una
estenuante agonia”. Non mente, lo farebbe. Il suo cuore è
tanto grande che può contenere ampiamente il dolore di una separazione
in età, e ci sarebbe ancora posto per altre delusioni! E comunque
proprio sola non sarebbe, ha in dotazione una famiglia ampia e amorevole
che le ha fornito nel tempo una ricca scorta di fiducia bastevole per
il resto dei suo giorni. Fortuna, assistita dal carattere.
Attilia è stata da poco lasciata dal Principe Vermiforme che
dapprima l'aveva salvata dall'abisso del post-separazione travolgendola
in un amore tanto totalizzante quanto salvifico, per poi mollarla dopo
qualche anno, con la collaudata tecnica della fuga silente.
Solita storia dunque, anche se lei non lo insegue apertamente, forse
perchè in questo caso la controparte è coniugata ed è
chiarissimo che il Verme non intende lasciare la moglie-mela, per quanto
questa possa essere aspra, per altra frutta ancorchè dolcissima
come Attilia...
Non commenta, dunque, Attilia, con la ferita ancora suppurante e una
travagliata convalescenza da consumare.
Poi ci sono io.
Io che sentenzio e tutto so.
Sola, sola da parecchio. Io con le mie innumerevoli storie amorose e
di sesso. Io burbanzosa e saccente, tuono dal pulpito del tavolo del
ristorante greco nel quartiere universitario. Non giudico, non critico,
fungo da specchio e rifletto immagini dolentemente umane. Impietosa
rimando al mittente rughe e illusioni.
Ora mi chiamo Amanda, ma come commenterebbe la compagnia della mezza
età che il mio nome all'anagrafe è Marcello?...
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