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Nico
di Gloria
Bianchetti
Un tututuut tututuut
invadente penetra nei suoni ovattati del mio sogno. Per fortuna lei,
con un movimento rapido, recupera il silenzio.
Allungo la mano per assicurarmi che la sua pelle sia sempre così
morbida e incontro un ammasso informe di peluche e una manina stretta
a pugno, appoggiata sopra.
Mi sveglio di colpo.
Guardo la testa che occupa metà del MIO cuscino e un visetto
con gli occhi ostinatamente serrati.
Sbotto: “Ma sei di nuovo qui! A quattro anni tutti i bambini dormono
nel loro letto! Avanti, su: bisogna alzarsi, fare la pipì, vestirsi,
bere il latte e poi via di corsa!”
“Papà…” mormora con la sua vocina indifesa,
senza muovere nemmeno una palpebra.
“Dimmi tesoro” rispondo soave sentendomi improvvisamente
amorevole nei suoi confronti.
“…chiudi il becco!”:
Cominciamo bene. Mi alzo a preparare la colazione. Loro occupano il
bagno per un tempo inconcepibile. Arrivano in cucina profumatissimi.
Lui le prende il viso tra le mani e guardandola profondamente negli
occhi le sussurra: “Bella grassona!” La vedo impallidire.
Fino a oggi lei ha praticato riti voodoo contro chiunque non le abbia
detto che ha una figurina esile, ma così esile…
Si riprende subito. “Esagerato” gli replica sorridendo.
Intuisco che è arrivato il momento della vendetta per il risveglio
amarognolo e dico, con aria di sufficienza: “Non sa neppure cosa
significa, esagerato”.
Vedo diciotto chili che si concentrano dietro a una fronte minuscola
e corrugata: “E’ qualcosa che è troppo-troppo”.
Due a zero per lui. Lascio il piacere della conversazione alla mamma.
Me ne arrivano brandelli mentre mi siedo, finalmente rilassato, sul
luogo più intimo della casa. “Ma no cucciolo, gli angeli
non muoiono”.
“E le fate?”
“Neanche”.
“E le streghe?”
“Ma no”, risponde lei distratta. Qui lui l’aspetta.
“Però quella di Hansel e Grethel muore”.
Sento silenzio per un po’. Bussa discreta: “E’ tardi”.
Esco in una nuvola molto meno odorosa di quella che hanno lasciato loro.
Sulla soglia si insinua la solita vocina acutissima: “Ho mal di
gola”.
Rapido dietro front della mamma: “Ti fa tanto male?”
“Sì”
“Allora ti do un cucchiaino di limone così si sfiamma”.
La guarda terrorizzato: “Perché, ci sono le fiamme?”
Riusciamo a stento a non ridere. Poi è la volta del mal di pancia.
Fremiamo. Le lancette sono inesorabili. Lo sgrido perché aspetta
sempre l’ultimo minuto per le cose importanti. Il mio tono è
deciso e severo e lui si offende.
Quando siamo finalmente in auto esordisco incerto: “Mi dispiace
sgridarti, lo sai”.
“Allora sei triste?”, si rianima.
“Un pochino”.
“Allora chiedimi scusa” dichiara soddisfatto indicandosi
il petto con il pollice.
Per fortuna la scuola materna non è lontana.
Fermi a un semaforo rosso lei osserva, guardando un campo al lato della
strada: “Guarda, hanno spento un fuoco ma c’è ancora
un filo di fumo”.
Lui si sporge per vedere mentre armeggia con la cintura del seggiolino,
poi le domanda: “Prima erano tanti i fili?”.
Lo lasciamo in consegna a una dada che ci guarda comprensiva, lo conosce
bene e lo prende per mano rassegnata.
Abbiamo appena varcato il cancello che sto per chiudere definitivamente
alle mie spalle quando sento la sua vocina che tenta di perforarmi il
timpano: “Papà, papà…” Ha il giubbotto
che gli penzola da un braccio e la dada alle calcagna che tenta di riacchiapparlo.
Mi guarda con i suoi occhioni neri, orlati da ciglia infinite, e mentre
lo prendo in braccio mi chiede: “…papà, di che cosa
è fatto il mondo?”
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