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La
foto sul cuscino
di Giuliano
Rusca
E' una mattina di
novembre e mi alzo dal letto con poca voglia di andare a lavorare. Me
ne starei volentieri a poltrire sotto le coperte, invece devo andare,
oggi sarà una giornata dura e piena di appuntamenti.
L'ennesima litigata con mia moglie mi ha rubato tutta l'energia e quel
poco di entusiasmo che conservavo per queste giornate buie e cupe. Novembre
a Milano è umido e malinconico. Il cielo è quasi sempre
nuvoloso, piove spesso e quest’acqua sottile e fitta raffredda
il mio animo grigio. Guardo fuori dalla finestra: gli alberi stanno
perdendo le ultime foglie, il prato della mia piccola casa a schiera
è intriso di umidità, coperto da un indistinto strato
di nebbia.
Sul letto c'è lei, mia moglie. E’ addormentata, sembra
tranquilla e incurante del fatto che da mesi tutte le sere litighiamo
senza un motivo ben preciso. Ho la sensazione che si sia rotto qualcosa
tra di noi. La relazione con lei non funziona più a causa dei
suoi e dei miei problemi di comunicazione. Non siamo più in grado
di riorganizzazione le nostre priorità. Ormai diamo tutto per
scontato e siamo presi, e non è una frase fatta, dalla solita
routine. Non rinnoviamo da un pezzo il nostro rapporto, nessun gesto
d’affetto, nessun atto d’amore, ormai la nostra vera relazione
appartiene al passato. Sono preoccupato. Sto diventando sempre più
aggressivo, quasi violento, sia nelle parole sia nei comportamenti.
Ieri lei mi ha confessato di avere addirittura paura di me. Diamine,
le faccio paura! Dice che ci stiamo distruggendo e questo le procura
dolore, un dolore interiore profondo che non riesce più a sopportare.
Cosa faremo?
Fa freddo, sento freddo dentro. Sbatte una persiana. Il vento mi riporta
fuori da questi pensieri che mi rattristano. Faccio una doccia bollente,
mi preparo un caffè, mi vesto e via in automobile per lasciarmi
tutto alle spalle.
Mentre giro alla prima curva, vedo sul marciapiede la vecchietta che
abita proprio vicino a casa mia. So che si chiama Maria. Porta tra le
mani un mazzolino di fiori freschi. Intuisco che sta andando al cimitero.
Suo marito è morto qualche mese fa e lei, secondo tradizione
vedovile, tutte le mattine si reca a “fargli visita”.
Il suo matrimonio non deve essere stato molto felice. Anche se non amo
spettegolare dei fatti altrui, parlando con gli abitanti del vicinato
ho saputo che suo marito aveva la brutta abitudine di alzare le mani
e lei per questo è finita al pronto soccorso un paio di volte.
Nonostante l'aspetto molto gracile e dimesso, è riuscita a sopravvivergli,
mentre lui, dopo una lunga e penosa malattia, se n'è andato:
qualche volta la giustizia divina fa il suo dovere.
Non sono in ritardo, così decido di chiederle se vuole una passaggio.
Sembra non aspettare altro e accetta più per la voglia di chiacchierare
che per evitare la lunga camminata verso il campo santo. Sale in macchina
lentamente, mi sorride e mi ringrazia:
“Grazie Giuliano, non vorrei farle perdere del tempo, ma oggi
sono un po' stanca e accetto volentieri il passaggio”. Il suo
modo confidenziale ma estremamente rispettoso di parlarmi mi porta ad
iniziare una conversazione con una domanda banale:
“Come va signora?” non ci conosciamo molto bene, anzi non
ci conosciamo per niente, ma ritengo doveroso chiederle un po' del suo
vivere quotidiano.
Non vedeva l'ora. “E come vuole che vada. Sono sola. E sono triste
senza il mio Giovanni. Al mattino non ho neanche più voglia di
alzarmi, tutto quello che faccio lo faccio malvolentieri”. Cerco
di assecondarla con un'altra domanda scontata: “Immagino debba
essere pensoso rimanere soli alla sua età?”. La signora
Maria vuole sfogarsi un po':
“Lei non immagina quanto mi manca la voglia di vivere. Faccio
tutto quello che devo fare, ma come un automa. Le mie figlie mi sgridano,
mi dicono che devo reagire, ma per me la vita non ha più sapore.
Dicono che sia la solitudine ed io senza il mio Giovanni sono sola.
Non so se lei riesca a capirmi, ma preparare da mangiare per me e nessun
altro che senso ha? Quando c'era lui era tutta un'altra cosa!”.
Sono esterrefatto, suo marito le manca! Ma come è possibile?
Un mostro violento che osava picchiarla, ora le manca. Dovrebbe essere
felice, ora è finalmente libera e invece no, è triste
e dispiaciuta di questa assenza. Sembra quasi che la mancanza anche
di un essere così brutale, sia peggiore del dolore psicofisico
che le provocava. La guardo meglio e vedo la tristezza vera nei suoi
occhi.
Ha i lineamenti delicati, il naso piccolo, la bocca ben disegnata e
gli occhi chiari e luminosi. Da giovane deve essere stata anche una
bella donna, mi vien da pensare. Oggi sul suo viso c'è la tristezza
profonda, ora è una vecchia bambola senza più anima.
Continua a parlare e a raccontare: “Era proprio un brav'uomo il
mio Giovanni. Lei non sa quanto ci volevamo bene. Anche la sua gelosia
era dovuta tutta a quel suo terribile male”. Ecco scoperto il
motivo per il quale alzava le mani: la stupida classica gelosia, quella
che acceca anche gli occhi degli uomini più innamorati. Per lei,
la gelosia del marito era dovuta ad una malattia, una malattia vera
che infine lo ha ucciso. Vorrei spiegare alla signora Maria che la gelosia,
anche se al tumore può essere paragonata, con il tumore non c'entra
proprio nulla, ma ci rinuncio, lei ormai ha fatto pace con se stessa.
Mentre l'ascolto, penso quanto incredibile sia l'animo umano che per
sopravvivere si auto convince e trasforma la realtà più
evidente in fantasie a proprio uso e consumo. Maria ha trasformato il
ricordo di suo marito salvando il loro amore, rendendolo puro ai suoi
occhi.
Siamo ormai davanti all'ingresso del cimitero, ma si deve essere accorta
che il suo racconto mi avvince, così invece di scendere dall'automobile
continua a raccontare:
“Quando era malato, non mi faceva pesare la sua sofferenza. Sopportava
con coraggio il dolore. Nonostante la malattia, cercava di essere presente,
mentalmente intendo. Mi faceva compagnia. Le nostre giornate erano diventate,
per assurdo, più serene: si mangiava insieme, si leggeva qualche
pagina di un libro, si guardava la televisione e la sera si andava a
dormire insieme. E il letto non era vuoto, c'era lui che si addormentava
tenendomi per mano. E poi parlavamo. Parlavamo di tutto, voleva che
gli raccontassi ciò che facevo nei minimi particolari, voleva
sapere dei nostri nipotini, dei nostri figli, dei nostri vicini. Sa,
a volte mi ha chiedeva anche di lei, Giuliano” mi fissa e fa una
pausa, poi riprende:
“Mi chiedeva di lei e di sua moglie. Mi chiedeva di voi tutte
le volte che la sentiva urlare, imprecare e sbattere le porte e poi
andarsene con la macchina facendo stridere i pneumatici sull'asfalto.
Io rispondevo che erano solo litigi di assestamento, che lei è
una brava persona e che mai avrebbe fatto quello che anni prima aveva
afflitto me. Lo rassicuravo su questo e lui mi diceva che dovevo aiutarvi,
che dovevo parlarle di lui, dei suoi errori e di quando l'amore sia
conoscere ciò di cui la persona vicina ha bisogno e cosa ci manca
per essere interi.”
Sono bloccato sul sedile della mia bella auto, non riesco a parlare
e a rispondere e allora lei continua: “Ora quando vado a letto,
per non sentirmi sola, metto la sua foto sul suo cuscino, gli do un
bacio e gli dico buona notte Giovanni, mi giro dall'altra parte per
non vedere il vuoto, per avere l'illusione che lui sia ancora lì
vicino a me”. Ora sono davvero commosso, il pensiero di Maria
che si addormenta con la foto del marito sul cuscino, mi intenerisce
quasi fino alle lacrime. La guardo ancora e nei suoi occhi umidi vedo
l'amore, quello vero, quello che deve avere accompagnato tutte le sue
giornate, quello che deve averle dato forza nei momenti più duri
e quello che le ha fatto trasformare un mostro in una persona che alla
fine ha saputo darle un po’ di “serenità”.
Mi pongo delle domande sul tempo e sulla sua implacabilità: finalmente
si erano ritrovati, infondo tutto ciò che chiedevano era la possibilità
di ricominciare per invecchiare insieme, per scambiarsi quella tenerezza
negata in gioventù.
Si è accorta di aver colpito nel segno e che sto pensando alla
mia vita, alla mia storia, così mi ringrazia e scende dalla macchina:
“Torni a casa Giuliano, torni da sua moglie e le dica che tutte
le cose che le ha detto ieri sera erano solo parole d'amore sbagliate
dette ad alta voce. Vada a casa Giuliano, lei che può, ci vada
in fretta, io non ho più nessuno che mi aspetta. Buona giornata
Giuliano e grazie anche a nome del mio Giovanni.”
Mesto la saluto e l'accompagno con lo sguardo verso l'ingresso del cimitero.
Prima di entrare si gira verso di me, mi sorride e dal suo labiale leggo
le parole: “Vai a casa”.
Metto la freccia, faccio inversione e mi dirigo verso casa con la speranza
di ritrovare mia moglie, di abbracciarla e di confessarle che l’amo
ancora.
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