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Sotto
la pioggia
di Laura Poletti
Piove, e io odio guidare sotto la pioggia: già
ci vedo poco di mio, e in una nottata come questa la strada è
solo un qualcosa di indistinto. E bui, visto che in questo tratto di
autostrada c’è penuria di lampioni. Così guido più
piano del solito: perlomeno non corro il rischio di prendere una multa,
anche se non credo che ci sia un agente sotto la pioggia a scattare
fotografie agli automobilisti. A questa velocità non sarò
a casa prima di mezzanotte.
Avrei potuto dormire in albergo e partire con calma domani mattina,
tanto era tutto pagato. E pensavo di farlo, non ti ho mentito quando
ci siamo sentiti. Poi il lavoro è finito più presto del
previsto, e quel pensiero fastidioso è tornato di nuovo a occuparmi
la mente.
Sospetto: mi da fastidio, ma è l’unica parola adatta. E
mi frulla in testa da tanto tempo, da quando mi sono resa conto delle
battutine di Maura. Siamo amiche, ma non abbastanza per parlare in modo
diretto di una questione del genere. E poi, cosa avrebbe potuto dirmi?
Guarda che tuo marito ha un’amichetta, e se la fa con lei approfittando
del fatto che il tuo nuovo lavoro ti porta fuori città tre giorni
alla settimana? E allora non ha trovato di meglio che ricorrere alle
allusioni.
Non è che io abbia capito subito, forse le sarò sembrata
un po’ lenta. Ma è riuscita nel suo intento.
L’unica stazione radio che si sente in modo decente trasmette
solo canzoni degli anni ottanta, e il fatto di conoscerle tutte mi fa
sentire vecchia. E ora alla pioggia si è aggiunta la nebbia.
Però non mi sentivo una moglie tradita.
Poi ho cominciato a osservarti meglio, e a cogliere qualche particolare.
I messaggi che arrivano sul tuo cellulare a volte, e il tuo rispondere
alla mia richiesta di sapere chi ti scrive con un generico “un
collega, uno nuovo, uno che non conosci”.
Alla fine, non è che di colleghi uomini tu ne abbia tanti, mentre
di colleghe nuove e giovani ne sono passate già un bel po’.
E hai smesso di parlarmi di loro, come se non volessi toccare un tasto
delicato. E non ti arrabbi nemmeno più quando devo stare fuori
qualche giorno, prima erano musi lunghi, ora mi accogli con un bel sorriso
quando ritorno e mi dici che ti sono mancata.
Ho provato a parlare con mia sorella, e mi ha guardato come se vedesse
un marziano: un tradimento da te, l’uomo che tutte le donne vorrebbero
come marito? Manco a parlarne.
E me ne ero quasi convinta anche io, finché non ho visto la nuova
collega che ti hanno affiancato: bella e, soprattutto, giovane.
E allora ho ricominciato a pensarci, a guardati con occhi diversi: fai
ancora la tua bella figura, nonostante i prossimi siano quaranta, ti
tieni in forma e ci sai fare con le persone. Le donne in particolare.
Lo hai sempre fatto, ma non ci avevo mai dato peso, ero sicura di me
e di te. E invece questa sera il sospetto è ritornato più
forte. Avrei potuto godermi una cena emiliana e un letto comodo, e invece
mi sono messa in viaggio con un tempo infame, inventandomi un impegno
poco credibile, a vedere le facce dei miei colleghi.
Sono arrivata e per miracolo ho trovato un posteggio sotto casa: forse
è solo per il fatto che è l’una passata, e non c’è
più nessuno in giro. Le luci di casa sono spente, anche quella
della camera da letto. Buon segno, tu ami tenere la luce accesa. Sempre
che non vi siate già addormentati. Infilo la chiave nella toppa,
sperando di non fare troppo rumore. Se ti troverò da solo farò
finta di averti preparato una sorpresa, altrimenti ci sarà una
sorpresa per me.
All’autogrill ci sono solo camionisti, ma è l’unico
posto aperto. Ancora qualche ora e mi presenterò a casa, giusto
dopo che tu sarai uscito per andare al lavoro. Mi chiedo cosa avrei
fatto se non ti avessi trovato da solo. Ne sarebbe venuta fuori una
scena da filmetto squallido, magari con soprammobili che volano e piatti
rotti, lacrime e disperazione. E ho deciso che non faceva per me.
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