PREMIO LETTERARIO PANCHINA

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Passim, premio panchina

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123 pp. - 12 euro


EDIZIONE 2009
- Racconti

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Foto di gruppo

di Paolo Montanari

 

La notte è arrivata all’improvviso, come succede a certe basse latitudini. Il mare, immobile come uno specchio, regge il peso di quel cielo nero, trapunto di stelle. Nuvoloni scuri solcano l’orizzonte. Tutto è avvolto in un oscuro silenzio quando un punto, tremolante di luce, compare in lontananza e rapidamente si fa sempre più luminoso, tanto da prendere le sembianze di una grande nave da crociera, sfavillante di luci e colori. Offre quasi l’impressione di una cosa viva: un titanico mostro marino che lascia dietro di sé una lunga scia argentata. Dal suo corpo si diffonde una musica festosa.
Nel grande salone è in corso la cena di gala. Gli ospiti arrivano alla spicciolata, gli uomini in abito rigorosamente nero e le donne inguainate in lussuosi abiti da sera, firmati e controfirmati. Tutti aspettano pazientemente il loro turno per la foto col comandante della nave. Il set fotografico è pronto, con tanto di fondale, ombrellini bianchi e trasparenti, fari, macchine fotografiche. Ed ecco arrivare, preceduto da due camerieri, il comandante in persona: l’inverno è già arrivato da un pezzo sui suoi capelli. Ha la faccia rossa, come se da anni il sole non riuscisse ad abbronzarla, ma solo a cuocerla e scorticarla. Veste un paludato smoking color crema. La camicia bianca è chiusa sul collo da un papillon nero. Più che il comandante di una nave sembra un maitre d’hotel, non di lusso, per via di quella faccia da pescatore, ma tutte le signore presenti, al suo arrivo, si lasciano sfuggire sospiri e gridolini:
<< Oh! Che bell’uomo! Che fascino! >>
Si dirige con passo sicuro al centro del set, senza dire una parola. Gli assistenti del fotografo, a quel potente segnale, sussurrano ai primi ospiti della fila come si devono posizionare.
La prima coppia. Lei castana con pretese di biondo a forza di tinture, col sorriso fisso di triglia e gli stessi occhi di pesce morto, immobile come un uccello da richiamo ed involontariamente esposta, per via del suo aspetto, al bonario ludibrio dei compagni di viaggio. Lui dalla presenza inconsistente, privo di vita, sembra fatto di un materiale di scarto, avanzi di magazzino assemblati un po’ a caso; se ne sta in disparte, forse piangendo lo sfacelo del suo passato. Il comandante in mezzo, come Cristo fra i due ladroni. Lampo di flash e via un’altra coppia. E’la volta di un’intera famigliola, ben otto persone da sistemare. I bambini, incuranti degli abiti della festa, corrono di qua e di là sfiorando i nonni, allocchiti per tutta quella confusione. La zia zitella si pavoneggia nel suo vestito da sera, fatto su misura, più largo che alto, maestosa come un tacchino con la ruota aperta. Lancia sguardi maliziosi a qualsiasi maschio le passi a tiro: la speranza è sempre l’ultima a morire! Lo zio matto viene sistemato come un manichino, con lo sguardo attonito su un punto indefinito dello spazio. La moglie-madre-figlia, si lascia scappare un gridolino di ansia. Suo marito, leggermente ripiegato su se stesso, ha l’aria rassegnata. Mentre gli assistenti cercano di compattare il gruppo, il comandante rompe il suo aplomb inarcando un sopracciglio, inequivocabile segnale di una certa insofferenza. Finalmente scatta il flash: è fatta! La famigliola sarà congelata per l’eternità. E così via, per due ore: gli ospiti della nave sono tanti e nessuno rinuncia alla foto. Quando arriva l’ultima coppia, con grande sorpresa degli astanti, il comandante si squaglia in un sfavillante sorriso liberatorio: il suo ingrato compito è finito!
La musica sommerge tutto; i camerieri saettano, con consumata maestria, tra i tavoli e il comandante, approfittando di tutta quella confusione, alla chetichella, sparisce nelle viscere della nave.

La cabina di comando, al dodicesimo piano, è chiusa da un lato da una enorme vetrata, sospesa sul quell’inchiostro nero.
E’ una serata tranquilla, il mare calmo, la rotta lineare, l’atmosfera rilassata. Un uomo, in una divisa bianca immacolata, impartisce i soliti ordini di routine prima di congedarsi per la notte. Distende le gambe sul tavolo, irto di strumenti, e sbadiglia. La vita è dura per un comandante di una grande nave da crociera! Alle sue spalle sente dei passi. Riconosce l’andatura. Come da prassi consolidata, l’uomo in smoking si irrigidisce sull’attenti e saluta:
<< Buonasera, comandante >>
<< Buonasera, Vittorio, come è andata la serata? >>
E gli sfugge un bonario sorriso: sembra un maitre d’hotel!
<< Ah! Comandante, una vera maratona. Non ne potevo più. E poi non ci sono più i passeggeri di una volta. Oggi sono tutti un po’ volgari e sguaiati. Comunque il mio dovere l’ho fatto! >>
E dicendo questo, si allenta il papillon.
<< Bene, bravo Vittorio! Non sai il servizio che mi rendi! Non reggerei a tutte quelle fotografie, con quella gente assurda! Grazie ancora e buonanotte! >>
<< Dovere, Comandante! Buona notte! >>
L’uomo in smoking si irrigidisce di nuovo nel saluto e si allontana dalla sala di comando a grandi passi; non vede l’ora di raggiungere la tranquillità della sua cabina.
Il vero comandante guarda oltre la grande vetrata. I suoi occhi azzurri si perdono nell’infinito della notte e la bocca esala un sospiro di piacere: navigare è la sua vita!

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