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Foto
di gruppo
di Paolo
Montanari
La notte è arrivata all’improvviso, come
succede a certe basse latitudini. Il mare, immobile come uno specchio,
regge il peso di quel cielo nero, trapunto di stelle. Nuvoloni scuri
solcano l’orizzonte. Tutto è avvolto in un oscuro silenzio
quando un punto, tremolante di luce, compare in lontananza e rapidamente
si fa sempre più luminoso, tanto da prendere le sembianze di
una grande nave da crociera, sfavillante di luci e colori. Offre quasi
l’impressione di una cosa viva: un titanico mostro marino che
lascia dietro di sé una lunga scia argentata. Dal suo corpo si
diffonde una musica festosa.
Nel grande salone è in corso la cena di gala. Gli ospiti arrivano
alla spicciolata, gli uomini in abito rigorosamente nero e le donne
inguainate in lussuosi abiti da sera, firmati e controfirmati. Tutti
aspettano pazientemente il loro turno per la foto col comandante della
nave. Il set fotografico è pronto, con tanto di fondale, ombrellini
bianchi e trasparenti, fari, macchine fotografiche. Ed ecco arrivare,
preceduto da due camerieri, il comandante in persona: l’inverno
è già arrivato da un pezzo sui suoi capelli. Ha la faccia
rossa, come se da anni il sole non riuscisse ad abbronzarla, ma solo
a cuocerla e scorticarla. Veste un paludato smoking color crema. La
camicia bianca è chiusa sul collo da un papillon nero. Più
che il comandante di una nave sembra un maitre d’hotel, non di
lusso, per via di quella faccia da pescatore, ma tutte le signore presenti,
al suo arrivo, si lasciano sfuggire sospiri e gridolini:
<< Oh! Che bell’uomo! Che fascino! >>
Si dirige con passo sicuro al centro del set, senza dire una parola.
Gli assistenti del fotografo, a quel potente segnale, sussurrano ai
primi ospiti della fila come si devono posizionare.
La prima coppia. Lei castana con pretese di biondo a forza di tinture,
col sorriso fisso di triglia e gli stessi occhi di pesce morto, immobile
come un uccello da richiamo ed involontariamente esposta, per via del
suo aspetto, al bonario ludibrio dei compagni di viaggio. Lui dalla
presenza inconsistente, privo di vita, sembra fatto di un materiale
di scarto, avanzi di magazzino assemblati un po’ a caso; se ne
sta in disparte, forse piangendo lo sfacelo del suo passato. Il comandante
in mezzo, come Cristo fra i due ladroni. Lampo di flash e via un’altra
coppia. E’la volta di un’intera famigliola, ben otto persone
da sistemare. I bambini, incuranti degli abiti della festa, corrono
di qua e di là sfiorando i nonni, allocchiti per tutta quella
confusione. La zia zitella si pavoneggia nel suo vestito da sera, fatto
su misura, più largo che alto, maestosa come un tacchino con
la ruota aperta. Lancia sguardi maliziosi a qualsiasi maschio le passi
a tiro: la speranza è sempre l’ultima a morire! Lo zio
matto viene sistemato come un manichino, con lo sguardo attonito su
un punto indefinito dello spazio. La moglie-madre-figlia, si lascia
scappare un gridolino di ansia. Suo marito, leggermente ripiegato su
se stesso, ha l’aria rassegnata. Mentre gli assistenti cercano
di compattare il gruppo, il comandante rompe il suo aplomb inarcando
un sopracciglio, inequivocabile segnale di una certa insofferenza. Finalmente
scatta il flash: è fatta! La famigliola sarà congelata
per l’eternità. E così via, per due ore: gli ospiti
della nave sono tanti e nessuno rinuncia alla foto. Quando arriva l’ultima
coppia, con grande sorpresa degli astanti, il comandante si squaglia
in un sfavillante sorriso liberatorio: il suo ingrato compito è
finito!
La musica sommerge tutto; i camerieri saettano, con consumata maestria,
tra i tavoli e il comandante, approfittando di tutta quella confusione,
alla chetichella, sparisce nelle viscere della nave.
La cabina di comando, al dodicesimo piano, è
chiusa da un lato da una enorme vetrata, sospesa sul quell’inchiostro
nero.
E’ una serata tranquilla, il mare calmo, la rotta lineare, l’atmosfera
rilassata. Un uomo, in una divisa bianca immacolata, impartisce i soliti
ordini di routine prima di congedarsi per la notte. Distende le gambe
sul tavolo, irto di strumenti, e sbadiglia. La vita è dura per
un comandante di una grande nave da crociera! Alle sue spalle sente
dei passi. Riconosce l’andatura. Come da prassi consolidata, l’uomo
in smoking si irrigidisce sull’attenti e saluta:
<< Buonasera, comandante >>
<< Buonasera, Vittorio, come è andata la serata? >>
E gli sfugge un bonario sorriso: sembra un maitre d’hotel!
<< Ah! Comandante, una vera maratona. Non ne potevo più.
E poi non ci sono più i passeggeri di una volta. Oggi sono tutti
un po’ volgari e sguaiati. Comunque il mio dovere l’ho fatto!
>>
E dicendo questo, si allenta il papillon.
<< Bene, bravo Vittorio! Non sai il servizio che mi rendi! Non
reggerei a tutte quelle fotografie, con quella gente assurda! Grazie
ancora e buonanotte! >>
<< Dovere, Comandante! Buona notte! >>
L’uomo in smoking si irrigidisce di nuovo nel saluto e si allontana
dalla sala di comando a grandi passi; non vede l’ora di raggiungere
la tranquillità della sua cabina.
Il vero comandante guarda oltre la grande vetrata. I suoi occhi azzurri
si perdono nell’infinito della notte e la bocca esala un sospiro
di piacere: navigare è la sua vita!
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